giovedì 26 febbraio 2009

Quando il treno arrivò in dogana

da Frammenti di memoria, Giulio Einaudi, Rizzoli 1988

Ho già ricordato la forte emozione provata quando aprivo i pacchi dei libri che arrivavano a mio padre. L'odore della carta stampata, soprattutto quella di pura cellulosa che Laterza usava per i classici italiani, o per le opere di Benedetto Croce o per La Critica, mi eccitava. Sin dall'inizio della mia attività, diedi quindi grande importanza alla qualità della carta, e con dolore durante la guerra fui costretto ad usare carta di pasta di legno, carta che col tempo sarebbe ingiallita e che non resisterà oltre il ventesimo secolo. Molto direte, ma possedere la prima edizione di Paesi tuoi di Pavese, pubblicato nel '41, fa gola a tutti i bibliofili che invece nel ventunesimo secolo si dovranno accontentare di una ristampa.
Ricordo ancora un episodio degli anni '50 quando ancora la carta buona scarseggiava. Mi si offrì una grossa partita di carta di pura cellulosa di importazione sovietica, un treno completo. Quando il treno arrivò in dogana l'allora ministro del Commercio estero pensò che si trattasse di un finanziamento sotto forma di carta fatto dai russi per favorire una casa editrice considerata di sinistra. In realtà non solo la carta fu pagata, ma ebbi anche la sorpresa di vedermela arrivare in rotoli, adatti a stampare grandi tirature di giornali e riviste, ma non libri a tirature limitate. Dovetti pertanto sostenere una spesa ulteriore per sbobinare i rotoli e tagliare la carta. In compenso la qualità era ottima come può constatare chiunque possegga libri pubblicati da Einaudi ai primi anni cinquanta.

Un punto essenziale per la riuscita del libro è la legatura. C'era da impazzire quando i primi volumi legati si "imbarcavano". Solo dopo una lunga esperienza di colle, cartoni e tele, si riuscì ad arrivare a una produzione di massa di libri rilegati in ottime condizioni.
Dunque carta e legatura. Ma sarei stolto se non considerassi come parte essenziale della forme del libro, i caratteri, l'impaginazione, l'inchiostro, la stampa; non solo, ma anche i titoli correnti, gli indici analitici e gli indici dei nomi, tutti elementi che concorrono a rendere un libro di studio utilizzabile nel modo più proficuo.
La forma esterna del libro deve essere in sintonia col contenuto, deve essere un richiamo all'intelligenza dell'autore. Un richiamo discreto che non deve offendere il lettore quando questi abbia il libro sul suo tavolo di lavoro, nello scaffale, o ne faccia il suo livre de chevet. Nella mia biblioteca personale ho cercato di eliminare, a meno siano indispensabili, i libri con una presentazione indiscreta, direi rumorosa, che in genere va di pari passo a contenuti modesti.

Per raggiungere il giusto equilibrio tra forma e contenuto, mi sono valso della collaborazione di tipografi e grafici. Ricordo un tipografo di grandissima qualità, raffinato, il Frassinelli. Col suo aiuto venne impostata la copertina dei Saggi.
Nel primo periodo della mia attività la forma esterna del libro si presentava al pubblico con immagini mirate. Francesco Menzio disegnava gran parte delle copertine o sovracopertine: ad esempio la copertina della prima edizione di Paesi tuoi di Pavese, le sovracopertine dei Narratori stranieri tradotti, famose quelle di Moll Flanders di Defoe e del David Copperfield di Dickens, e ancora i disegni da lui eseguiti per l'Universale.
Dopo il '45 invece si è verificato un mutamento nella proggettazione del libro Einaudi, con l'uso della fotografia, ma soprattutto di dipinti di grandi maestri: Pavese, ad esempio veniva presentato con quadri di Van Gogh, Hemingway con dipinti di Picasso, Calvino con pastelli di Klee. In quegli anni si affermò, con queste caratteristiche, la collana dei Coralli.
Fu questo il periodo in cui nacque una stretta collaborazione coi grafici Albe Steiner e Max Huber. Il primo diede una inconfondibile fisionomia al Politecnico, il settimanale di Vittorini, il secondo disegnò le copertine della collana Politecnico biblioteca e in particolare alcuni opuscoli pubblicitari.
Max Huber era sempre felice, gioiva creando una copertina, abbozzando un prospetto pubblicitario: quando non trovava il consenso era pronto a rifare tutto, senza mutare d'umore.
Il rapporto con Albe Steiner era tenuto da Elio Vittorini, che sosteneva con lui, ottimista e tenace, in simbiosi perfetta, vivaci ma dolci scontri durante le riunioni per l'impaginazione del Politecnico.
Successivamente Bruno Murari, per una trentina d'anni, fu nostro insostituibile e impareggiabile consulente grafico. Due volte al mese si svolgevano riunioni con il direttore tecnico, il direttore editoriale e commerciale. Ognuno portava le sue esigenze: Murari, velocissimo, cercava di interpretarle. In modo estremamente libero gli si facevano le critiche, lui ne teneva conto rifacendo il tutto se necessario anche varie volte, arrivando alla fine a risultati eccellenti.
Fare convergere le esigenze e le necessità della committenza con la massima libertà espressiva del professionista cui ci si affida mi pare regola ovvia: nella pratica questa semplice norma non è sempre seguita.

Ma la perfetta sintonia tra forma e contenuto non sarebbe stata raggiunta nelle edizioni Einaudi senza un uomo di straordinaria intelligenza, Oreste Molina, lavoratore instancabile, interprete delle esigenze del gruppo degli intellettuali "einaudiani", ed esigente sovrattutto con se setsso. Impazziva davanti alla "superficialità" degli autori, che spesso delegavano a lui la cura tecnica del libro, lasciandolo alle prese con indicazioni bibliografiche scorrette, o coi titoli del libro una volta in corsivo, un'altra tra virgolette e in tondo. "Adesso ti mando le prime cento pagine, il reso seguirà a giorni" scrivevano talune volte gli autori: no, lui voleva tutto il manoscritto, se lo portava a casa e se lo studiava dalla prima pagina all'ultima, in modo da essere in grado di risolvere le difficoltà che si presentavano in testi irti di rimandi, di note, di segni.
Molina ha formato alcuni tecnici che ancora oggi lavorano riferendosi al suo magistero, interrotosi dopo quattro decenni, forse perchè non sopportva l'idea di non interpretare le idee e contrastare le bizze di colui con il quale per tanti anni aveva colloquiato.

martedì 24 febbraio 2009

Solo un buon titolo



da "I mestieri del libro", Oliviero Ponte di Pino, prefazione di Stefano Mauri, Tea 2008

Come leggeremmo l'Ulysses di James Joyce, si chiedeva Umberto Eco, se avesse un titolo diverso?
Perchè il titolo è parte integrante di un libro - e azzeccare il titolo è un ingrediente fondamentale della sua fortuna.
Ernest Hemingway utilizzava un proprio metodo: "Faccio un elenco di titoli dopo aver finito il racconto o il romanzo - a volte addirittura cento. Poi inizio a cancellarli, e a volte li cancello tutti."
Per Milan Kundera, invece, "qualunque mio libro potrebbe intitolarsi L'insostituibile leggerezza dell'essere oppure Lo scherzo o Amori ridicoli, i titoli sono intercambiabili, riflettono il piccolo numero di temi che mi ossessionano, mi definiscono e, sfortunatamente, mi limitano. Al di là di questi temi non ho nulla da dire o da scrivere."
Con grande pragmatismo, l'editore Alfred Knopf rimproverava così Dashiell Hammett: "Dovresti occuparti e preoccuparti un pò di più dei tuoi titoli. Quando una persona non riesce a pronunciare il titolo o il nome dell'autore, si intimidisce e non osa più entrare in libreria per chiedere quel libro. Capita più spesso di quanto tu non creda."
Nella ricerca della soluzione migliore, numerosi titoli sono stati cambiati in corso d'opera, dagli scrittori o dagli editori. Così non possiamo leggere Prime impressioni di Jane Austen (Orgoglio e pregiudizio), Il cuoco di mare di Robert Louis Stevenson (L'isola del tesoro), La balena di Hermann Melville (Moby Dick), Giuda: una storia di Cristo di Lew Wallece (Ben Hur), L'ultimo uomo d'Europa di George Orwell (1984), Il regno vicino al mare di Vladimir Nabokov (Lolita), Prima di questa rabbia di Arthur Hailey (Radici), Gli uccelli e le api di Woody Allen (Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (e non avete mai osato chiedere))...
Un titolo memorabile come Via col vento è stato preceduto, mentre Margaret Mitchell scriveva il suo capolavoro, da Pansy (così si chiamva in origine la protagonista Scarlett O'Hara), da Tote the Weary Load (il verso di una canzone), e da Domani è un altro giorno (l'indimenticabile frase dell'indimenticabile Scarlett). David Herbert Lawrence ha cambiato molto spesso, con decisioni tormentate ma felici, i suoi titoli: Paul Morel è diventato Figli e amanti, John Thomas e Lady Jane è diventato L'amante di Lady Chatterly, le sorelle è diventato L'arcobaleno e L'anelllo matrimoniale è diventato Donne in amore.
Anche Adolf Hitler aveva dato al Mein kamf un altro titolo: Quattro anni e mezzo di lotta contro le menzogne, la stupidità e la vigliaccheria (dimostrando, ha commentato Tim Foote sul "Time", che per qualunque autore è meglio avere un buon editor).
Una scorsa ai titoli pubblicati può incoraggiare uno scrittore a riprendere la sua fatica con una nuova lena. Perchè vengono pubblicati libri con titoli alquanto improbabili. La rivista inglese The Bookseller assegna dal 1978 tramite referendum il Diagram Prieze al titolo più curioso dell'anno. Tra i vincitori del prestigioso riconoscimento, The Madam as Entrepeneur: Career Management in House Prostitution (lett. la Madama come imprenditore. La gestione delle carriere nelle "case", 1979), The Joy of Chickens (lett. La gioia dei polli, 1980), The Book of Marmalade: Its Antecedents, Its History and Its Role in the World Today (lett. Il libro della confettura d'arance: i suoi antecendti, la sua storia e il suo ruolo nel mondo contemporaneo, 1984), Oral Sadism and the Vegeterian Personality (lett. Il sadismo orale e la personalità vegetariana, 1986), How To Shit in the Woods: An Evironmentally Suond Approach to a Lost Art (lett. Come cacare nei boschi: un aproccio ambientalisticamente consapevole a un'arte perduta, 1989), Resing Old graves (lett. Riciclare le vecchie tombe, 1995), The Joy of Sex: Pocket Edition (lett. Le gioie del sesso: edizione tascabile, 1997), People Who Don't Know They're Dead: How They Attach Themselves to Unsuspecting Bystanders and what to do About It (lett. Quelli che non sanno die essere moti: come si appiccicano ai passanti inconsapevoli e come affrontare la situazione, 2005), fino a The Stray Shopping carts of Eastern North America: A Guide To Field Identificaation (lett. I carrelli della spesa randagi nell'America del nord-Est: una guida all'identificazione sul campo, 2006).
Questo albo d'oro è un omaggio all'inesauribile fantasia e operosità umana (in particolare quella degli autori) e alla follia degli editori. E dimostra che nulla (o molto poco) resta inedito: le foreste del mondo intero corrono un grave pericolo...